In questa sezione vengono analizzate le diverse tipologie di CONDOTTE CRIMINOSE che hanno per denominatore comune le RELAZIONI INTERPERSONALI.

La loro tipizzazione non è stabilita solo dalle fattispecie di reato contemplate dal codice penale, ma anche da una classificazione psico-criminologica, che vede le relazioni come il luogo principe dove nasce il movente per quella condotta criminosa.

Se è vero infatti che non tutte le relazioni disfunzionali o patologiche esitano in fenomeni criminali, è invece assodato che alla base di azioni criminose mosse dai cosiddetti “moventi passionali” c’è sempre una relazione patologica e un forte squilibrio.

Ma come si riconosce una relazione disfunzionale e perchè chi la vive direttamente non riesce a farlo oppure, pur riconoscendola, non è capace di uscirne o gestirne gli effetti?

Il primo elemento che caratterizza tutte le relazioni insane fra due individui in grado di scegliere e autodeterminarsi è senz’altro la PERDITA DELLA LIBERTA’.

So che molti di voi penseranno che, quindi, il matrimonio è la prima forma di relazione tossica!!!  

Ironia a parte, parliamo di una forma diversa di privazione partendo dal presupposto che ogni relazione determina necessariamente una piccola perdita di socialità e libertà personale, che tuttavia si presume sia scelta e in qualche modo ricompensata con l’appagamento del bisogno di relazione soddisfatto dal partner. 

Nelle relazioni disfunzionali MANCA LA RECIPROCITA’, pertanto i soggetti che si legano non si coinvolgono in maniera eguale stabilendo ben presto uno squilibrio di potere. Chi è più coinvolto è il soggetto che sarà più vulnerabile pertanto dovrà avere la capacità di aver ben presente i propri confini per evitare che l’altro (il meno coinvolto) invada i suoi spazi e progressivamente invada tutta la sua esistenza. 

Solitamente le persone che si coinvolgono più intensamente sono quelle con un’identità individuale fragile, un nucleo affettivo vuoto per esperienze privative, un’autostima ferita per cui il legarsi con l’altro diventa una sorta di bilanciere per stare in equilibrio. 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il delitto di Sesto

Omicidio Sesto Fiorentino: le relazioni pericolose

 

 

I cosiddetti “moventi passionali”

Gelosia o vendetta, ossessione d’amore o senso di inadeguatezza…Al di sotto del cosiddetto e generico “movente passionale” si celano motivazioni diverse e altamente soggettive, la cui analisi è in grado di rilevare preziose informazioni a livello criminologico e investigativo. Dall’osservazione dei casi criminali al centro della cronaca nera ci si può facilmente rendere conto come oggi una percentuale altissima di crimini trovi la sua matrice all’interno delle relazioni interpersonali, vissute in modo gravemente distorto. Alla base di tali dinamiche ci sarebbe una serie molto complessa di fattori, a partire da quelli socio-culturali e di costume, con particolare riferimento ai repentini e drastici mutamenti dei ruoli e dei contesti familiari, non accompagnati da un’adeguata consapevolezza e capacità di gestione delle criticità. Basta un niente per mettere in crisi una relazione e l’incapacità a tollerare la frustrazione rende immediato il passaggio all’atto (acting out), spesso con esiti distruttivi, secondo la logica del “tutto o nulla”.

 

Omicidio-suicidio per vendetta

Omicidio Piattelli

21 Gennaio 2010 – Quando un licenziamento non si dimentica: leggi articolo su delitto di Montecatini

 

Figlicidio – suicidio

Se non fosse per il fatto che ormai casi come questi sono diventati una specie di macabra moda, l’istinto naturale, almeno fino a poco tempo fa, ci avrebbe fatto rimanere increduli di fronte ad un padre che massacra i propri figli, rifiutando che ciò sia realmente accaduto perchè queste scene le abbiamo sempre e solo associate ai film di Dario Argento, dove addirittura alcune sceneggiature ci sembravano esagerate e irrealistiche. Ci piacerebbe che fosse così. Ma come la realtà diventa finzione anche la finzione sta divenendo sempre più realtà; senza bisogno di scomodare la retorica, basta aprire gli occhi. E’ finito il tempo in cui si considerava la vita come qualcosa di certo e immutabile, non scalfibile dalla morte. La vita di oggi è sempre più appesa ad un filo; si muore per strada, si muore per errore, si muore perchè si è nel posto sbagliato al momento sbagliato, si muore per un ubriaco che in un soffio cancella una vita di soddisfazioni e sacrifici, si muore per mano di chi ci ama.

 

LE DOMANDE

E allora le domande sgorgano come un fiume, a partire da quella più scottante, irrimandabile, quella che urge una risposta certa perchè la collettività possa dormire sonni tranquilli. Queste famiglie derelitte, teatro di massacri quotidiani (ogni giorno ne accade uno in qualche parte del Paese) sono da considerarsi NORMALI oppure no?

E che differenza c’è fra APPARENTEMENTE NORMALI e NORMALI veramente?

E ancora, è possibile che non vi siano SEGNALI in grado di fare anche solamente preoccupare (se non presagire, quella è roba da fiction) chi appartiene o è vicino a questi nuclei familiari disgraziati?

Posssibile che si sia arrivati ad un tale GRADO DI SOLITUDINE?

E in presenza di un DISTURBO PSICHICO accertato di un membro della famiglia, si può capire quali quadri patologici sono più a rischio?

 

LE RISPOSTE

Le risposte sono molto meno rapide e più complesse delle domande, essendo impossibile isolare e identificare un unico fattore come causa determinante dei casi di omicidio-suicidio. L’ampia casistica degli studi realizzati sull’argomento non sembra essere sufficiente a comprendere fino in fondo il fenomeno, le cui origini trovano comunque un fondamento nella natura degli affetti.

Al di sotto, infatti, del generico e cosiddetto movente, che si utilizza per individuare una fattispecie delittuosa comune a diverse situazioni, sussistono motivazioni profonde che possono essere molto personali, appartenenti a chi commette il crimine o anche alla vittima, pertanto destinate spesso a rimanere sconosciute.

Una serie di considerazioni è utile a chiarire l’idea di apparente normalità:

  • Innanzitutto è necessario specificare che la “normalità” di un soggetto non può essere valutata in alcun modo dall’apparenza, e questo è la prima fonte di errore popolare, quello che fa credere il senso comune di poter conoscere le persone che vediamo o incontriamo in base ad una breve prima impressione; essa in realtà rappresenta solo una fotografia “statica” della persona in oggetto, che non dice assolutamente nulla sul suo comportamento abituale, nè tanto meno sul suo funzionamento psichico, che rappresentano aree dinamiche del soggetto.
  • Molte persone, la maggior parte, intavolano una vita sociale con gli altri sulla base di “luoghi comuni”, ovvero attraverso lo scambio di contenuti socialmente condivisi e convenzionali, i quali rendono le persone apparentemente simile e omologate, soprattutto i membri di una stessa comunità territoriale. I LUOGHI COMUNI nascondono le differenze individuali, impedendo la conoscenza approfondita degli altri.
  • All’interno del nucleo familiare, sempre più attraversato da logiche di tipo economico e dalla fugacità delle occasioni di autentica comunicazione, nel tempo si può avere una lenta erosione dei rapporti, fino all’estraneità domestica, senza che, peraltro, le altre persone al di fuori ne vengano a conoscenza.
  • Le risposte soggettive alla frustrazione sono sempre più improntate alla logica del TUTTO/NULLA, pertanto di fronte alla disperazione e a periodi particolarmente difficili in cui non si riesce a sopportare il peso delle responsabilità (anche familiari) la reazione di un qualsiasi soggetto è più facilmente estrema e risolutiva, piuttosto che sfumata e filtrata dall’elaborazione critica.
  • Alcune forme di disagio mentale possono attraversare l’esistenza di una persona senza segni e manifestazioni particolarmente evidenti, alimentandosi pian piano nel tempo fino a sfociare in ciò che viene indebitamente definito “raptus”, ma che in realtà rappresenta il punto di rottura di un equilibrio lentamente minato dall’interno.

Fra le ipotesi sulle motivazioni individuali maggiormente chiamate in causa, che è possibile confermare attraverso la testimonianza di autori di tali condotte sopravvissuti ai tentativi di suicidio, una delle più plausibili richiama lo stile di attaccamento dell’autore, derivante dalle primissime esperienze infantili del soggetto con le figure parentali.

Lo stile di attaccamento di un individuo dipende dal modo in cui viene trattato dal caregiver (Bowlby, 1988) e su queste interazioni si struttura uno tra i quattro stili attualmente riconosciuti: sicuro, insicuro evitante, insicuro ambivalente, disorientato disorganizzato.

  • Nell’attaccamento sicuro, la sicurezza dell’accessibilita’ materna rende il bambino tranquillo nello spingersi ad esplorare le novità. Le persone con attaccamento sicuro sono ragionevolmente sicure delle proprie capacita’ di risolvere i problemi e per questo tendono a testare le proprie ipotesi per eliminare quelle errate. Nelle relazioni adulte si comportano in maniera equilibrata, alternando vicinanza e allontanamento.
  • I bambini con attaccamento insicuro-evitante hanno sperimentato piu’ volte la difficolta’ ad accedere alla figura di attaccamento e hanno imparato progressivamente a farne a meno, concentrandosi sul mondo inanimato piuttosto che sulle persone. Le persone con questo tipo di attaccamento si comportano come se gli altri non esistessero. Da adulti utilizzano strategie relazionali basate prevalentemente sul distacco.
  • I bambini con attaccamento insicuro-ambivalente, avendo sperimentato l’imprevedibilita’ della figura di attaccamento, tentano di mantenere con lei una vicinanza strettissima, rinunciando a qualsiasi movimento esplorativo autonomo. A livello cognitivo, per evitare l’imprevedibilita’, si muovono soltanto nel conosciuto, da cui sia bandita ogni novita’. Nella relazione in età adulta tendono alla vicinanza serrata e alla manipolazione.
  • L’attaccamento disorganizzato-disorientato si realizza quando la figura di attaccamento e’ sperimentata come minacciosa. Il caregiver e’ spaventato / spaventante. Il bambino e’ portato a leggere sul volto della figura di attaccamento se nell’ambiente esistano pericoli oppure no; nel caso della madre spaventata/spaventante egli riceve costantemente un messaggio di pericolo, e poiche’ non trova nell’ambiente alcun motivo che lo confermi, la madre diventa fonte di minaccia. Pertanto la modalità adulta di relazionarsi sarà quella di attacco / difesa / congelamento.

Ognuno di questi stili determinerà a sua volta il modello operativo interno dell’adulto, guidando i futuri comportamenti di attaccamento (compresa la capacità di tolleranza all’abbandono).

Ne deriva che alcuni soggetti (in particolare quelli con attaccamento insicuro-ambivalente) presentano sul piano relazionale maggiori difficoltà rispetto ad altri nella gestione dei rapporti interpersonali e dei normali problemi che essi comportano. Tali criticità tendono a diventare insormontabili di fronte ad eventi particolarmente rilevanti, che sono in grado di scuotere un equilibrio preesistente (ad esempio una separazione o divorzio, un lutto, un abbandono, un licenziamento, un grave incidente, etc..). In questi soggetti l’idea di poter perdere il controllo della situazione e delle persone che ne fanno parte può risultare così inaccettabile da scatenare reazioni paradossali per evitare un reale o immaginario abbandono.