Stalking e altre condotte persecutorie
Art. 612-bis del Codice Penale – Atti persecutori
“Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.” Il limite massimo è stato recentemente aumentato a cinque anni per evitare che gli autori del reato di stalking potessero beneficiare degli effetti previsti dalla cosiddetta “legge svuotacarceri”.
Etimologia
La stessa etimologia del termine mutuata dal mondo animale (to stalk = “cacciare su appostamento, perseguitare”) da’ conto degli aspetti più biechi ed istintuali della condotta di stalking, che raccoglie al suo interno diverse tipologie di comportamenti.
La trasformazione di tali condotte in fattispecie penale (recentemente introdotta dal decreto-legge 23 febbraio 2009), oltre a gettare maggiore luce sul fenomeno riducendo il numero oscuro, ha attratto l’attenzione generale, portando le persone comuni ad una maggiore ricerca di informazioni in proposito, allo scopo di adottare accorgimenti e misure difensive anche a livello privato.
I comportamenti che qualificano la condotta di stalking sono diversi (molestia telefonica, appostamento, invio di lettere, tentativi di approccio fisico, etc..) e, nella maggior parte dei casi, legati temporalmente fra loro, costituendo un iter progressivo (cosiddetta “campagna di stalking”) durante il quale il persecutore, lo stalker, sperimenta un’escalation emozionale che non riesce ad interrompere fino all’appagamento finale (spesso coincidente con un esito nefasto per la vittima).
Ma lo stalking è un insieme complesso di situazioni e comportamenti che non può essere facilmente compreso da chi, nella vita, non ha mai avuto a che fare con relazioni interpersonali insane o distorte; ed è proprio questo il genere di persona più facilmente esposta a divenire vittima di stalking, in ragione di una naturale buona fede e di un’ingenuità che spesso non permettono di fiutare il pericolo nascosto dietro le intenzioni altrui.
Il concetto di relazione distorta o patologica
Lo stalking, prima ancora che una fattispecie giuridica, è un fenomeno clinico complesso che accomuna situazioni completamente diverse fra loro.
A livello interpretativo si pone la difficoltà di riuscire a descrivere con un’etichetta statica (lo “stalking” appunto) una situazione che in realtà è altamente dinamica e in continua evoluzione, con il rischio di una omologazione dei casi e della perdita delle differenze di significato fra un caso e l’altro.
Sono poche infatti le circostanze in cui il reato di stalking avviene al di fuori di una relazione o di un rapporto di conoscenza già esistente fra due persone (se si escludono, ad esempio, i tipici casi di fan di personaggi pubblici ossessionati dal contatto con i propri idoli, situazioni in cui è rinvenibile un serio disturbo psichiatrico alla base della condotta di stalking e le dinamiche sono molto diverse dai casi più noti alla cronaca).
Nella maggior parte dei casi rubricati come stalking alla luce delle nuove norme, studiando a fondo il caso ci si accorge che fra i due attori coinvolti esiste una relazione patologica e disfunzionale, la quale in mancanza di soluzione esita in comportamenti estremi dettati dall’esasperazione di tale dinamiche. In particolare lo stalking costituirebbe una forma patologica di comunicazione, all’interno della quale entrambi i comunicanti svolgerebbero un ruolo chiave nella precipitazione degli eventi.
Pertanto è più che mai opportuno evitare semplificazioni e/o banalizzazioni di questa condotta (incoraggiate dalla “moda” del momento) leggendo il fenomeno soltanto attraverso le rigide griglie interpretative dell’ideologia dominante, rischiando così¬ di compiere errori di valutazione scientifica.
In tale ottica è bene ricordare che le vittime dello stalking non sono solo le donne ma anche gli uomini e che la minor prevalenza di questi ultimi nelle stime ufficiali è data anche dalla minore tendenza dell’uomo a denunciare, preferendo altre strategie di contrasto. Stabilire infatti, già a priori, chi è il carnefice e chi la vittima non soltanto costituisce forma di pregiudizio sociale ma risulta antistrategico contribuendo ad inasprire ulteriormente il modello di relazione uomo-donna, dentro o fuori ad un contesto familiare.
Eziologia clinica
Fatto salvo che lo stalking rimane un problema prevalentemente relazionale, in cui, come sopra osservato, risulta di difficile individuazione una causa unitaria e attribuibile ad un solo soggetto, tuttavia esso può essere favorito dalla presenza di un problema psicologico o di un disturbo di personalità dell’autore.
In questa prospettiva, lo stalking è tipicamente associato ad alcuni quadri clinici, quali ad esempio il disturbo da discontrollo degli impulsi, il disturbo narcisistico di personalità, il disturbo dipendente di personalità, tutti accomunati da tratti deficitari nell’area affettiva e da intolleranza alla frustrazione.
Possiamo comunque pensare, in base a dati e stime ufficiali oltre che a testimonianze dirette, che lo stalking sia un comportamento che esordisce nella prima età adulta (intorno ai 25 anni), in concomitanza con lo svilupparsi dei disturbi di personalità, in ragione degli aspetti specifici che lo caratterizzano e che difficilmente appartengono alle esperienze dell’adolescenza. Essi sono:
- aver sperimentato ripetutamente frustrazione nei rapporti interpersonali
- aver già avuto almeno un’esperienza fallimentare con una persona significativa
- aver avuto poche amicizie autentiche o essere stati al di fuori del giro delle amicizie durante l’adolescenza
- continuare a vivere o a dipendere da una figura adulta di riferimento con cui si ha un legame morboso/conflittuale
- prediligere la vita solitaria e non avere figure alternative di sostegno intorno a sé per incapacità o impossibilità (fratelli, colleghi, etc..)
- aver sviluppato qualche dipendenza
Le teorie sull’attaccamento
Fra le ipotesi sulle motivazioni individuali maggiormente chiamate in causa alla base della condotta di stalking, analoghe a quelle sottostanti al fenomeno dell’omicidio-suicidio, vi è il rifiuto di accettare il distacco quale riflesso dello stile di attaccamento dell’autore, derivante dalle primissime esperienze infantili del soggetto con le figure parentali.
Lo stile di attaccamento di un individuo dipende dal modo in cui viene trattato dal caregiver (Bowlby, 1988) e su queste interazioni si struttura uno tra i quattro stili attualmente riconosciuti: sicuro, insicuro evitante, insicuro ambivalente, disorientato disorganizzato.
- Nell’attaccamento sicuro, la sicurezza dell’accessibilità materna rende il bambino tranquillo nello spingersi ad esplorare le novità. Le persone con attaccamento sicuro sono ragionevolmente sicure delle proprie capacità di risolvere i problemi e per questo tendono a testare le proprie ipotesi per eliminare quelle errate. Nelle relazioni adulte si comportano in maniera equilibrata, alternando vicinanza e allontanamento.
- I bambini con attaccamento insicuro-evitante hanno sperimentato più volte la difficoltà ad accedere alla figura di attaccamento e hanno imparato progressivamente a farne a meno, concentrandosi sul mondo inanimato piuttosto che sulle persone. Le persone con questo tipo di attaccamento si comportano come se gli altri non esistessero. Da adulti utilizzano strategie relazionali basate prevalentemente sul distacco.
- I bambini con attaccamento insicuro-ambivalente avendo sperimentato l’imprevedibilità della figura di attaccamento, tentano di mantenere con lei una vicinanza strettissima, rinunciando a qualsiasi movimento esplorativo autonomo. A livello cognitivo, per evitare l’imprevedibilità, si muovono soltanto nel conosciuto, da cui sia bandita ogni novità. Nella relazione in età adulta tendono alla vicinanza serrata e alla manipolazione.
- L’attaccamento disorganizzato-disorientato si realizza quando la figura di attaccamento è sperimentata come minacciosa. Il caregiver è spaventato / spaventante. Il bambino è portato a leggere sul volto della figura di attaccamento se nell’ambiente esistano pericoli oppure no; nel caso della madre spaventata / spaventante egli riceve costantemente un messaggio di pericolo, e poichè non trova nell’ambiente alcun motivo che lo confermi, la madre diventa fonte di minaccia. Pertanto la modalità adulta di relazionarsi sarà quella di attacco / difesa / congelamento.
Ognuno di questi stili determinerà a sua volta il modello operativo interno dell’adulto, guidando i futuri comportamenti di attaccamento (compresa la capacità di tolleranza all’abbandono).
Ne deriva che alcuni soggetti (in particolare quelli con attaccamento insicuro-ambivalente) presentano sul piano relazionale maggiori difficoltà rispetto ad altri nella gestione dei rapporti interpersonali e dei normali problemi che essi comportano. Tali criticità tendono a diventare insormontabili di fronte ad eventi particolarmente rilevanti, che sono in grado di scuotere un equilibrio preesistente (ad esempio una separazione o divorzio, un lutto, un abbandono, un licenziamento, un grave incidente, etc..). In questi soggetti l’idea di poter perdere il controllo della situazione e delle persone che ne fanno parte può risultare così inaccettabile da scatenare reazioni paradossali per evitare un reale o immaginario abbandono.